Un Bicchiere

Se ne stava seduta lì, appoggiata al bancone, con lo sguardo perso ben oltre il fondo del bicchiere.

Lunghe ciocche rosse le contornavano il viso, ad abbracciare un collo sottile, e finirle sul seno.

Non avevo il coraggio di fissarla troppo a lungo, per paura che mi pensasse strano.

Occhiate fugaci, lanciate aldilà di chi mi stava seduto di fronte.

Parlava, e troppo, la compagnia che avevo scelto quella sera.

Parlava, e poco importava, perché di ciò che diceva non udivo nulla.

Guardavo lei, il suo bicchiere, le mani con cui lo stringeva.

Provavo invidia per quell’inanimato pezzo di vetro, inconsapevole della fortuna che aveva avuto.

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Libertà

Sapessi come mi ha liberato, una semplice password.

È bastato mettere un lucchetto a questo spazio, per trovare lo stimolo che pensavo perduto.

Se ti stai chiedendo come mai, beh, non sei il solo.

Me lo sto chiedendo anch’io, da ieri e tutto il giorno di oggi.

E più mi osservo, più ricerco una risposta, più mi trovo a convenire sul fatto che per quanto pensi d’esser scevro dal giudizio degli altri, non lo sono mai del tutto.

Per quanto creda di poter dire, fare pensare da uomo libero, le azioni che compio sono dettate da dogmi che mi impone la società, che mi vuole addestrato a fare il compitino, a stare in fila indiana, ordinato e rassegnato al mio destino.

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Vuoto e Vento

Cosa ti passa per la mente, Marqo con la Q?

Che forse passi troppo tempo solo? Che per quanto te la racconti, per quanto ti ostini ad oscurare la vocina razionale che punta il dito, e ti mostra l’ombra della solitudine che pian piano divora ogni brandello della pelle tua, il vuoto che hai dentro grida più di ogni altra cosa?

Il vuoto. Quel vuoto. Avresti mai pensato che raggiunto il successo, si sarebbe fatto più grande? Va via via allargandosi, e cresce a dismisura. Come puoi pensare che scalare una vetta più alta, fermi il suo avanzare?

Sei davvero così stolto da pensare che raggiunto il cielo, e superate le nubi, la vocina del cazzo saprai placarla? Pensi seriamente che ne avrà abbastanza?

Spiegami perché oggi condanni il meccanismo che 16 anni fa, ti ha salvato la vita. Il programma che ti gira nella mente, da quando solo mente ti è rimasta, è artefice di ciò che vivi oggi. La libertà che vivi tu, a cui altri nella tua condizione possono solo che aspirare, è figlia della tua ossessione al voler di più.

È quello ciò che sei, lo capisci? Un susseguirsi inestinguibile di azioni, fatte per andare un po’ più in su, un po’ più in là. Cosa recrimini. Cosa rinneghi.

“Non avevo idea che una volta accesa, l’ambizione, non l’avrei spenta più.”

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Un Pilota.

Ieri sono stato ad un funerale.

Non il primo a cui vado. Ma fra le molte funzioni con cui salutiamo le persone a noi care, è stata la mia prima volta al funerale di un pilota.

Quest’uomo, di cui non sapevo nulla se non le storie raccontate dalla voce di sua figlia, mi ha molto spesso ricordato mio padre.

Ieri, in un pomeriggio così caldo da soffocare, ho varcato la soglia della chiesa e mi sono messo tra i banchi laterali, al riparo dalle “luci di scena” che spesso accompagnano il mio essere in sedia a rotelle.

Senza che l’avessi scelto mi sono ritrovato a guardare la bara in legno chiaro del pilota, che se ne stava al centro della navata con il suo cappello blu scuro, appoggiatovi sopra.

Non chiedetemi perché, ma per quanto mi sforzi in occasioni come queste, faccio davvero fatica a focalizzarmi sul presente. Che sia un disturbo dell’attenzione mai diagnosticato, o un meccanismo di protezione del mio cervello che si attiva in presenza della morte, durante i funerali mi trovo spesso a lasciar correre i pensieri.

C’ho provato ad ascoltare, ieri. Ricordandomi che a questo pilota così caro a tante persone, avrei dovuto prestare più attenzione.

Mi sono concentrato sull’omelia del prete e su quel cappello blu scuro, pensando che il pilota che l’aveva indossato fino a poco prima, di cieli ne aveva solcati tanti.

Mi sono chiesto se avesse mai pensato che un giorno, su quel cappello, si sarebbero posati i miei occhi.

Mi facevo queste domande e, fissandolo, sembrava quasi che ricambiasse allo stesso tempo il mio sguardo, e quello di tutti gli altri.

Poi l’organo ha iniziato a suonare, e le persone si sono alzate.

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Tumulto

Questa sera osservavo le fronde degli alberi di fronte a casa mia.

Avevano le chiome che scuotevano nel vento, e i rami che si piegavano sotto la forza di quel soffiare.

Osservavo questi giganti silenziosi accettare senza il minimo lamento le sferzate del vento, ed ho lasciato correre i pensieri.

C’era del tumulto, là in alto.

Eppure sembrava che a loro non importasse.

Poi ho cominciato ad osservare dentro di me, ed ho scoperto che dopo tutto, c’era del tumulto anche lì.

A differenza delle piante però, io che pianta non sono, sembravo non voler accettare la tristezza che pian piano iniziava a sgomitare per conquistare più terreno.

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La Sentirai Ridere.

Sarà nel sole di un giorno, identico agli altri, che le note della sua voce ti accarezzeranno.

La sentirai ridere nel vento, cristallina e gelida come acqua, e ti fingerai sordo.

Proverai a nascondere quel sentimento indecifrabile che di tanto in tanto ti assale, pensando che il mondo, e lei, non se ne accorgeranno mai.

Potrai raccontartela come hai fatto altre volte, ignorando la risposta che hai sempre avuto nel cuore.

Ma non sarà con questa illusione che cambieranno le cose.

Non cambierai tu, come non cambierà lei.

Poco importa, ti dico. Ci penserà il vento a ristabilire l’equilibrio.

Quella bilancia universale che sembrava in perfetta stabilità, e che insieme avete fatto pendere da un unico verso con così tanta violenza, da mandarla in frantumi, si ricostruirà pian piano.

Lo so che oggi ti sembra impossibile. E che ci soffri. Ma chi si mette in gioco, e sceglie di correre il rischio di vedere il proprio cuore andare in frantumi, pur di sentirlo riempirsi un giorno ancora, ha più resilienza di quanto immagini.

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Riflessi.

Questa sera fumavo una sigaretta in bagno, davanti allo specchio enorme che si trova dietro i lavandini.

Fissavo l’immagine riflessa, mentre sbuffavo il fumo a ripetizione, senza curarmi troppo dei particolari.

Ero quasi arrivato al filtro, quando i miei occhi hanno incontrato quelli del ragazzo in sedia a rotelle che mi stava seduto di fronte.

Senza che aprisse bocca, o emettesse un singolo suono, ho capito ciò che aveva da dire in quei profondi occhi azzurri: “Siamo la stessa persona, testina! Te ne sei già dimenticato?”.

Ho sentito il suolo aprirsi sotto di me, mentre un brivido freddo mi ha percorso la schiena.

Com’è possibile tutto ciò? Perché vedendo la mia immagine riflessa in uno specchio, mi ostino a non vedere una persona in sedia a rotelle?

Ho fissato per un po’ quel ragazzo che ricambiava le mie occhiate dallo specchio, cercando di scorgere altri messaggi in quegli occhi che si facevano via via, più tristi.

Alla noncuranza di prima, ho sentito sostituirsi la malinconia.

Poi, com’è arrivata, allo stesso modo se n’è andata. O forse così, ha voluto che credessi la mia mente.

Mi sono riproposto, in questi ultimi anni, di abbattere lo schermo che porta il mio cervello a filtrare la mia situazione, facendomene dimenticare l’esistenza. Mi ripeto che devo imparare a riconoscere la persona che ricambia i miei sguardi nello specchio, perché solo così imparerò ad apprezzarne il valore.

Eppure, nonostante abbia preso questa decisione con risolutezza, mi rendo conto raramente di essere tetraplegico. Questo meccanismo, abitudine, costrutto mentale (chiamatelo un po’ come volete) che mi ha salvato la vita anni fa, è un vizio veramente difficile da estirpare.

Sono consapevole della sua esistenza, ma non riesco a combatterlo.

E per quanto alcuni di voi la possano considerare una conseguenza giustificata di ciò che mi è successo, sono consapevole che ciò sia una mia grande mancanza.

Perché imparare ad essere consapevole di essere in sedia a rotelle, sarà la chiave che mi permetterà di sbloccare il mio potenziale, e fare l’ennesimo passo in avanti.

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Stringimi.

Stringimi, che sto per partire.

Ti chiederai dove, magari perché, ma una risposta non ce l’ho.

Non l’avevo allora, e forse non l’avrò mai.

Poco importa. Tu stringimi, che al resto penserà il vento.

Non saranno più le tue, le braccia in cui potrò affondare il volto, e le difficoltà del giorno.

Avremmo dovuto dircelo da tempo.

Ma il tempo, mentre mi stringevi ed io ascoltavo il tuo respiro, non passava mai davvero.

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Un Cuore.

Un cuore lo sa, o forse no, ma poco importa.

Non vuol sentir parlar di logica, in ogni caso.

Un organo curioso, e solitario, che ti porta incessantemente a cercarne uno simile.

Ma nonostante brami l’intrecciarsi per sempre ad un altro, solo rimane, a fare il suo lavoro.

E nella solitudine di cui è artefice, quando un cuore si spezza, a sentirne il frastuono sei solo tu.

Aggiustarlo poi, è faccenda complicata.

Puoi provare a raccoglierne i pezzi, incollarli con mano tremante, ma non c’è colla che tenga.

E sebbene la logica gli suggerisca di attendere paziente, ricomporre i cocci rotti del cuore, a un cuore, risulta impossibile.

Ti dicono che il tempo guarisce ogni ferita, che con lo scorrere dei giorni, i tagli che adesso lo lacerano andranno via via rimarginandosi; si trasformeranno in cicatrici, e tu non proverai più dolore.

Ma valla a spiegare tu questa teoria, a un cuore, quando ad ogni battito si accorge che ne manca un secondo, che fino a poco prima gli batteva all’unisono.

Quel ritmo che nel tempo lo ha alimentato, e che oggi non è altro che un silenzio assordante.

Un cuore lo sa, o finge che non sia così, ma poco importa.

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Il Primo Marzo (del 2021)

Gli anni passano. Veloci. Anzi, velocissimi. Così veloci che mentre ti penso e ne scrivo, posso quasi sentire il tempo scivolarmi tra le dita della mano.

Sarà stato il caso, o l’universo, ma ho iniziato questo post con l’obiettivo di non nominarti. Ho pensato che per una volta, una sola soltanto, avrei potuto brillare della mia luce. Senza per forza riflettere ogni fottuto raggio di sole che filtra su questo blog, sulla chioma infinita di capelli mossi che ti ritrovi.

Mi sbagliavo, ma questo già lo sai. Leggi ogni mio singolo pensiero, stronzetto impertinente. Sai così tante cose sul mio conto da sapere che le ultime parole che ho scritto, non le penso veramente. Almeno dal punto di vista dell’essere uno stronzetto.

Mi sbagliavo sul fatto che non saresti stato al centro del mio ennesimo post del 1 marzo. Avrei potuto prevederlo, considerato il fatto che ci sono giorni in cui sei ancora al centro dei miei pensieri.

Quindi sì, pensare che sarei stato capace di escluderti dalle mie parole scritte, è stato uno sbaglio madornale. L’ennesimo di una lunga striscia di errori commessi, strade sbagliate, vette mai scalate. Eppure, in questi mesi ci un po’ fatto l’abitudine. Saranno l’età, gli anni che passano, i virus che ci aleggiano sul collo, ma non penso di aver mai avuto un periodo che testasse a tal punto la mia pazienza.

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